Fondi europei per l’Italia, uno spreco da 7 miliardi

I fondi europei per l’Italia, miliardi di euro comunitari pensati per promuovere lo sviluppo del nostro Paese, sono stati spesi per progetti la cui efficacia non è stata valutata da nessuno. È la conclusione cui sono giunti gli economisti Roberto Perotti e Filippo Teoldi in una ricerca pubblicata sul portale lavoce.info.

Nell’introduzione del testo gli economisti sostengono che nel nostro Paese sono stati spesi “miliardi in progetti finanziati dai fondi strutturali europei, eppure non abbiamo la minima idea dei loro effetti. Per esempio, nel periodo 2007-2012 sono stati finanziati circa 500.000 progetti di formazione di vario tipo, per una spesa di 7,5 miliardi, eppure a tutt’oggi nessuno sa quali tipologie di progetti sono meglio di altre, e se vale la pena attutare questi progetti”.

Le questioni chiave da risolvere sono tre. La prima interessa i limiti correlati al cofinanziamento, che, nonostante dal punto di vista concettuale costituisca un’ottima soluzione, prevede alcuni problemi in termini di applicazione. I progetti formativi vengono attutati in modo pressoché integrale ad opera di regioni o provincie, ma appena il 4 percento del finanziamento complessivo deriva da regioni o provincie. La parte restante dei fondi è il frutto dell’impegno, diviso in parti uguali, di stato italiano e Unione Europea.

Fondi europei per l’Italia, il ruolo della burocrazia. Il principale limite all’accesso ai fondi è costituito dalla burocrazia: “Questa complessità è completamente non necessaria ed è il frutto di una mentalità burocratica e dirigistica, che pretende di poter programmare la destinazione di decine di miliardi, nei minimi particolari, per i prossimi sette anni”.

E per quanto riguarda la programmazione 2014 – 2022? Purtroppo i problemi strutturati sono rimasti gli stessi: “La programmazione per il periodo 2014-20, che sta iniziando ora, non sarà diversa da quella attuale nella sostanza, e non risolve i problemi esistenti. Anch’essa è destinata a naufragare in un mare di retorica”.

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